È TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA? – Eraclito
Per gli uomini non è la cosa migliore che si realizzino tutte le cose che desiderano – (Frammento 110)
Così, più di 2500 anni fa, parlò il greco Eraclito. Questa frase così tanto assurda all’apparenza, porta con sé una rivelazione ancora più paradossale: un nuotatore olimpionico concorderebbe con Eraclito.
Già uno studio del 1998 svolto su atleti australiani vincitori dell’oro alle Olimpiadi del 1984 o del 1992 evidenziò infatti come solo 4 su 18 descrivessero la propria esperienza come completamente positiva.
Una volta raggiunto il proprio obiettivo infatti, che esso fosse la qualificazione, una medaglia o otto ori olimpici, i nuotatori sperimentano diverse sensazioni negative.
Tra queste ne individuo due che chiamerò
- il verme solitario
- la noia
Il primo corrisponde alla fame di nuovi obiettivi. Niente di pericoloso, penserete, ma è proprio questo di cui si preoccupa Eraclito.
Mi vengono in mente le parole di Caeleb Dressel a proposito delle Olimpiadi di Tokyo 2021, dove ha vinto 5 ori
«Sono arrivato al punto in cui se non facevo un record del mondo, allora sentivo che la mia intera carriera era un fallimento»
Realizzare un desiderio, ma voler fare di più. Sempre di più. Ancora e ancora, fino ad esplodere.
Il filosofo del divenire era ben consapevole di questa eventualità, sapeva bene quanto la volontà possa ossessionare, impedendoci di avere una visione totale della realtà. Il successo non mette fine a ciò, ma al contrario non fa che alimentare l’animo e la tracotanza, fino al punto, come successo a Dressel, di esplodere e sprofondare nella stasi.
Difficile è la lotta contro il desiderio, perché ciò che esso vuole lo compera a prezzo dell’anima – (Frammento 85)
Perché dunque incendiare la parte migliore di sé in nome di vane illusioni?
Eraclito risponderebbe che Dressel e tutti gli olimpionici sono quindi dei dormienti, inconsapevoli di celare dietro alla loro ambizione l’irrazionale aspirazione all’immortalità.
Nonostante dunque l’apparente immortalità di un campione olimpico in quanto tale, l’esperienza delle persone che lo sono diventate non fa che rendere ragione ad Eraclito.
Tutto scorre, anche un oro olimpico….
LA NOIA E IL VUOTO DOPO IL SUCCESSO – Schopenahuer
Tutti i riflettori puntati su di sè. Per qualche settimana i nuotatori olimpici toccano il cielo con un dito ricevendo le attenzioni che mai in altri momenti riceverebbero. Per qualche settimana. Qualche minuto, qualche secondo a volte, e poi di nuovo nel dimenticatoio.
Ogni soddisfazione è solo transitoria e crea nuovi desideri, e nuove angosce – (Parerga and Paralipomena)
Questo sentimento di temporaneità e di vuoto esistenziale è la conseguente essenza della depressione post-olimpica, ed è ciò che incute maggiormente un altro filosofo, stavolta tedesco e più recente. Schopenhauer infatti descrive accuratamente questo paradosso.
«Ho avuto the time of my life eppure mi sentivo perso» dirà Adam Peaty dopo Rio 2016.
L’aver toccato la cima dell’Olimpo ed essere costretti a scendere è angosciante. Il nuotatore passa tutta la vita a soffrire per quel momento, in cui potrà perdere o vincere. Eppure la differenza poi è poi così grande?
Cosa rimane dopo una vittoria?
«Un vuoto drammatico, un giorno ho vinto, il giorno dopo basta. Finito.» descrive il 23-volte campione olimpico Michael Phelps
Rimane la paura, la consapevolezza, di chi, non più dormiente, teme che quel successo apparterrà solo al passato. Rimane la paura di non trovare più obiettivi la cui soddisfazione sarà della stessa grandezza. Esiste qualcosa in grado di superare un oro Olimpico?
La soddisfazione (dei desideri) non porta ad altro che a una condizione priva di dolore in cui l’uomo è consegnato unicamente alla noia… – (Parerga and Paralipomena)
Il pericolo è di rispondere che no, niente può farlo. Ed eccolo il famoso pendolo che oscilla tra il dolore per il non successo, e la noia dovuta al successo.
«Non avevo più alcun obiettivo. Pensavo, e adesso?» – Siobahn O’Connor
E se la soluzione fosse proprio non avere un obiettivo?
PENSARE OLTRE – Nietzsche
La proposta non è banale. Temporaneamente, direbbe infatti Nietzsche è anzi da accogliere.
L’uomo preferirebbe volere il nulla al non volere affatto – (Genealogia Della Morale)
Così parlò il filosofo criticando l’auto inganno degli uomini che nascondono quel vuoto esistenziale, che per esempio si prova dopo un’olimpiade, dietro obiettivi fittizi, cercando di dare un senso alla vita anche se in quel momento non pare avere.
Un invito ad evitare questo desiderio del nulla, di cose futili, ma ad accogliere il non desiderio, il non avere obiettivi, accogliere quel vuoto.
Insomma non per forza rituffarsi in acqua, in mille competizioni, ma, se ce n’è bisogno, fermarsi per un attimo, e osservare quella condizione prima di curarla.
Il secondo passaggio sta però nel non far sì che questo sfoci in un nichilismo passivo, nella perdita di interesse alla vita.
Ciò che è grande nell’uomo, è l’essere egli un ponte e non già una meta – (Così parlò Zarathustra)
Il senso di inutilità è legittimo, ma è necessario superare quell’illusione di essere arrivati al culmine della propria esistenza. Convincersi che è vero, non ci saranno soddisfazioni uguali a un oro olimpico, perché ce ne saranno di diverse.
Nietzsche suggerirebbe allora che la “soluzione” sia nell’andare oltre. Nella ricerca di nuovi obiettivi, davanti ai quali presentarsi con una nuova faccia.
Un esempio di questa filosofia è stato Gregorio Paltrinieri. Nel 2016 a Rio l’azzurro ha vissuto quello che all’apparenza è stato l’apice della sua carriera laureandosi campione olimpico nei 1500 stile libero. Gregorio ha sentito il peso della vittoria, la sensazione che fosse “tutto lì”. Così si è reinventato. Ha cercato nuovi stimoli da un’altra parte: il nuoto di fondo. Paltrinieri si è trasformato da meta, raggiunta e finita, in ponte per raggiungere nuovi livelli del proprio essere atleta. E il resto è storia.
Per concludere, voglio sottolineare come nuovi stimoli e obiettivi per gli atleti che hanno sofferto di depressione post olimpica, non si ritrovino sempre in una vita ancora una volta agonistica. L’andare oltre significa semplicemente affrontare una nuova era della propria vita, non solo carriera, che può proseguire in acqua, come fuori. È interessante quindi riflettere su questi spunti, dalla gestione della fame di risultati trattata da Eraclito, all’accettazione del vuoto descritto da Schopenahuer. A proposito è stata recentemente proposta l’idea di pianificare il quadriennio olimpico come un cinquiennio, comprendente la gestione dell’anno post-Olimpiade.
È rassicurante dunque sapere che ci si stia sempre più muovendo contro la negazione di questi sentimenti, dei quali il superamento suggerito da Nietzsche, è poi riservato, se correttamente aiutati, ai nuotatori.