C’è un detto non scritto che aleggia nei bordi vasca di tutto il mondo: l’anno dopo le Olimpiadi è quello in cui si rifiata, si tira il fiato, si torna alla normalità. I riflettori si abbassano, il peso delle aspettative si alleggerisce e la preparazione sembra rallentare. Ma se osserviamo bene, ascoltando il rumore sommesso che solo chi vive davvero questo sport può sentire, scopriamo che è proprio in questi anni “fiacchi” che il nuoto sa sorprendere di più.
È nei silenzi, nelle corsie meno affollate dal clamore mediatico, che l’acqua si muove e cambia tutto.
2025: Un Nuovo Inizio Partito Fortissimo
A pochi mesi dalla fine dei Giochi di Parigi, il 2025 ha già mostrato i suoi muscoli.
Tre record del mondo sono caduti in rapida successione. Il tedesco Lukas Märtens ha aperto l’anno abbattendo il primato nei 400 stile libero in vasca lunga, segno che la distanza regina della resistenza è più viva che mai.
Katie Ledecky, che dopo la sua quarta Olimpiade e sempre più leggenda, ha abbassato nuovamente il record negli 800 stile libero, dimostrando che la longevità sportiva è tutt’altro che un miraggio. E poi Gretchen Walsh, che ha lasciato il mondo senza fiato con il suo 54.60 nei 100 farfalla, scavalcando un muro che sembrava invalicabile.
Tre nomi, tre storie diverse, un unico messaggio: la stagione post-olimpica non è tempo di tregua, ma un terreno fertile per rinascere, reinventarsi, rilanciarsi.
2022: Dopo Tokyo, L’Ondata dei Record
L’anno seguente alle Olimpiadi di Tokyo ha offerto anch’esso uno spettacolo inaspettato.
L’eco della piscina giapponese non si era ancora spenta, quando i record mondiali hanno iniziato a cadere come pioggia d’estate.
Il 28 aprile, Hunter Armstrong ha stabilito il nuovo primato nei 50 dorso maschili con 23.71. Il 19 maggio, è toccato al giapponese Zac Stubblety-Cook, che ha riscritto la storia dei 200 rana fermando il cronometro a 2:05.95, primo uomo di sempre sotto i 2:06.
Pochi giorni dopo, il 22 maggio, Ariarne Titmus ha abbattuto il record nei 400 stile libero femminili con un tempo strepitoso: 3:56.40. Ma non è finita. Il 20 giugno, sempre in vasca lunga, Thomas Ceccon ha nuotato il miglior 100 dorso di sempre in 51.60. E ad agosto, il 13, il rumeno David Popovici ha illuminato il Foro Italico di Roma con un 46.86 nei 100 stile libero, divenuto da subito leggenda.
Un anno “di transizione”, certo, ma solo sulla carta. Nella realtà, è stato un periodo di esplosione, trasformazione, gloria.
2017: L’Anno Del Fuoco Dopo Rio
Anche il 2017, figlio dei Giochi di Rio, è stato un anno infuocato. Nella finale dei 50 rana maschili, Adam Peaty ha riscritto i limiti dell’anatomia umana con uno spaventoso 25.95, diventando l’uomo più veloce nella storia su quella distanza. Ma non è stato l’unico: la svedese Sarah Sjöström ha firmato il nuovo record nei 100 stile libero femminili con 51.71 e nei 50 stile libero con 23.67.
Lilly King, regina della rana americana, ha lasciato il segno con quattro record mondiali: due individuali nei 50 rana(29.40) e 100 rana, e due in staffetta, consacrandosi come icona indiscussa della sua generazione.
Quei dodici mesi post-Rio sono stati la dimostrazione che quando gli atleti si liberano dall’ossessione del podio olimpico, riscoprono l’amore puro per la velocità, la tecnica, il gesto.
Oltre il Traguardo, Ogni Volta
Il post-Olimpiade non è un’eco stanca dell’apice appena raggiunto. È semmai un terreno fertile, dove ciò che si è seminato nei quattro anni precedenti continua a dare frutti.
È il momento in cui, spogliati della pressione a cinque cerchi, gli atleti si riscoprono più liberi, più creativi, talvolta più affamati.
I record cadono perché lo sguardo torna a farsi lucido, la fatica si trasforma in visione, e il corpo — pur provato — ritrova nuovi slanci.
Il nuoto ci insegna che l’acqua non conosce inizio né fine, ma solo passaggi. Così sono anche le stagioni sportive: cicliche, ma mai uguali.
E proprio quando ci si aspetta che tutto rallenti, qualcuno nuota più veloce di quanto il mondo credeva possibile.
Questo è il dono degli anni dispari: sorprendono. E ricordano a tutti noi che il limite, spesso, è solo una linea da attraversare.
Ciò che emerge da queste stagioni apparentemente marginali è una verità che vale per ogni atleta e, forse, per ogni essere umano:
l’assenza di clamore non significa assenza di significato.
Anzi. Lontano dai riflettori olimpici, si coltiva spesso la parte più autentica dell’atleta. Si costruisce il corpo nuovo, si guarisce la mente, si impara a perdere e a ripartire.
Gli anni post-olimpici sono, paradossalmente, gli anni della libertà. Si nuota per se stessi, non per il podio. Si sperimenta. Si fallisce, senza la condanna mediatica. E si scopre, come spesso accade nei viaggi più profondi, una nuova ragione per restare in acqua.
C’è chi cambia allenatore, chi cambia stile, chi cambia nazione. Ma la costante è la stessa: il nuoto non finisce con i Giochi.
Ricomincia.
Ed è forse proprio questo il valore più motivante di queste stagioni: ci insegnano che ogni fine può essere un inizio, che il momento in cui gli altri rallentano è quello perfetto per accelerare, che la vera forza si misura quando nessuno guarda.
In questo 2025 che ha già l’odore della rivincita, possiamo aspettarci ancora molto.
Perché le leggende, spesso, non si scrivono sul podio, ma nei giorni grigi, quelli in cui si nuota controcorrente, con l’unico applauso di una coscienza che dice: “ancora una volta”.