Ieri è rimbalzata in tutto il mondo la notizia della sospensione della stella americana Sha’Carri Richardson per essere stata trovata positiva alla THC, una sostanza chimica presente nella marijuana.
Mentre la sospensione di 30 giorni della Richardson ha fatto rimbalzare l’argomento agli onori delle cronache, gli appassionati di nuoto più attenti sanno che le regole anti-doping per quanto riguarda l’uso di marijuana sono tutt’altro che nuove.
Di seguito approfondiamo l’argomento in tre punti.
1: THC È VIETATA SOLO NEI TEST IN COMPETIZIONE – E NON PER MOTIVI MORALI O LEGALI
La sospensione di Richardson ha fatto molto scalpore poichè la marijuana è legale in 18 Stati americani. Non si capisce perchè una droga legalizzata per scopo ricreativo possa costare il sogno olimpico.
Se però si scava nel codice dell’Agenzia mondiale antidoping (WADA) si scopre un quadro diverso.
La marijuana – più specificamente, il THC – non è vietata a tutti gli atleti di alto livello. L’uso della sostanza è vietata solo in competizione. Non è vietata per motivi morali (stigma della droga) o per motivi legali (per gli stati e/o paesi in cui rimane illegale).
Il THC è vietato per motivi legati al miglioramento delle prestazioni.
Alcuni dati suggeriscono che il THC migliora il sonno, il recupero e il rilassamento muscolare, mentre riduce l’infiammazione e riduce i dolori. Per ironia della sorte, uno dei più noti sostenitori del THC come potenziatore delle prestazioni è il campione olimpico canadese di snowboard Ross Rebagliati, che risultò positivo al test dopo aver vinto le Olimpiadi del 1998. Rebagliati venne spogliato dalla medaglia d’oro, per poi vedersela reintegrata perché il THC non era ancora stato aggiunto alla lista delle sostanze proibite dalla WADA.
Secondo le regole attuali, agli atleti olimpici non è vietato l’uso di marijuana. E’ solo vietato l’uso durante la competizione.
Un test positivo per THC fuori competizione non porterebbe a nessun tipo di sospensione. Avere THC nel corpo il giorno della gara viola le regole della WADA.
2: LA RICHARDSON NON È LA PRIMA AD ESSERE STATA SOSPESA
La 21enne Richardson si è assunta la piena responsabilità della sua sospensione.
“So cosa ho fatto, so cosa dovrei fare e cosa mi è permesso di non fare e ho comunque preso questa decisione”, ha detto a TODAY della NBC.
Il suo test positivo è avvenuto il 19 giugno, il giorno in cui ha vinto i 100 metri ai Trials olimpici U.S.
Le sospensioni per THC non sono rare nello sport a livello olimpico. Nel nuoto, abbiamo visto diverse sospensioni di alto profilo, tra cui lo sprinter italiano Andrea Vergani e l’atleta della nazionale statunitense Tate Jackson.
Già ai tempi di queste due squalifiche l’opinione pubblica era molto divisa.
Andrea Vergani venne sospeso tre mesi per il suo test positivo. Nel 2009, Michael Phelps ha scontato una sospensione di tre mesi perchè venne fotografato mentre inalava marijuana da un bong. In quel caso non vi fu nessun test positivo. Phelps non è stato infatti mai trovato positivo a nessuna sostanza nella sua lunga carriera durante un test anti-doping.
3: LE REGOLE SUL THC CONTINUANO AD AMMORBIDIRSI MENTRE L’OPINIONE PUBBLICA SI SPOSTA
D’altra parte, la perdita del posto alle Olimpiadi per Richardson nei 100 metri attira molte polemiche sulla congruità della punizione. La Richardson ha dichiarato che usato la marijuana era per affrontare il dolore emotivo dopo aver saputo della morte della madre biologica durante un’intervista.
“Pensavo fosse un’intervista normale. Poi durante l’intervista sono stata travolta da quella notizia data da un estraneo. E’ stato devastante. Perché e chi sei tu per dirmi questo? Ha detto Richardson.
“Da lì sono stata accecata dalle emozioni, dalle cattive notizie. Non potevo nascondermi. In qualche modo stavo cercando di nascondere il mio dolore”.
La storia della Richardson è così avvincente – e l’opinione pubblica così fortemente a suo favore – che è probabile che le regole sul THC continuino a cambiare.
Già la WADA ha regolarmente ammorbidito le sue regole.
La Richardson avrebbe affrontato un divieto minimo di tre mesi se il suo test fosse arrivato nel 2020. Soltanto quest’anno la sospensione si è ridotta ad un mese.