50 Sfumature Di Metallo: Tutti I Colori Di Una Medaglia Olimpica

50 Sfumature Di Metallo: Tutti I Colori Di Una (Non) Medaglia Olimpica

Quando sali sul più grande palcoscenico sportivo del mondo, sei consapevole di avere tra le mani un’occasione unica,e almeno in quel momento, la più importante della tua vita.

Quando si arriva quindi ai piedi di un risultato sperato, a un passo dalla gloria olimpica, è normale sentirsi frustrati: mancava così poco.

È normale sentirsi orgogliosi e felici del risultato: sei arrivata vicinissima ai grandi campioni.

È normale essere arrabbiati: ti aspettavi di più dalla tua prestazione.

Ed è normale sentirsi tristi: mancano quattro anni alle prossime Olimpiadi.

Tutte queste sensazioni sono normali, finchè provengono da noi stessi, dai nostri obiettivi, aspettative, consapevolezze, dalle nostre paure. Tutte sono normali finchè ci fanno stare, paradossalmente, bene, in pace con noi stessi. 

Fanno tutte parte dello spettro di colori propri dell’essere umano.

Ed è normale sentire solo uno di questi colori, sentirli tutti insieme, sentirne prima uno e poi l’altro, o non sentirne nessuno. 

Perché una medaglia, di qualunque metallo (o non metallo) essa sia, non è solo bianca o nera. Una medaglia, così come un posto olimpico può avere mille sfumature di colore.

Legno è mille culure

“Per me questa è una delusione enorme.”

Le parole di Simona Quadarella alla fine della sua gara sono un’insalata di tristezza, rabbia,e soddisfazione, seppure in piccola parte. Il volto è scuro, e le parole non sono rosee. Questo è però quello che si sente di dire la nuotatrice, delusa perché vede sfumata quella che considerava come la sua migliore possibilità di medaglia. Una delusione che viene dal suo cuore carico di aspettative, in parte affidatole da noi italiani, in parte dalla sua consapevolezza di essere tra le nuotatrici più forti al mondo. Nonostante sia soddisfatta del suo 15:44.05, migliore anche del tempo con cui ha vinto l’oro mondiale a Fukuoka, per Simona questo quarto posto non ha un colore felice, perché è convinta che avrebbe potuto fare ancora di più.

Quest’ottimo piazzamento ha un colore triste perché fa pensare al futuro, e all’incertezza che esso ci riserva, non dandoci l’opportunità di scorgere come saremo tra quattro anni. Lascia quindi gli atleti nell’ambiguità, a crogiolare tra i se, tra i ma  e tra i cosa sarà. Tra il passato che ha ormai acquisito colori indelebili, e il futuro che non ci fa sapere nemmeno se saremo in grado di dipingerlo a dovere.

La stessa Quadarella però è l’esempio perfetto di quanto una medaglia di legno possa assumere colori diversi.

“Quarto posto, però fa niente”

Dalla delusione enorme stampata sul viso al suo sorriso sollevato.

Eppure, sempre quarta è, direte.

“Un po’ perchè me l’aspettavo” che ricorda un po’ quanto detto da Benedetta Pilato nei giorni passati, quel dibattuto “Tutti se lo aspettavano, tranne me”

“Ma a un certo punto ho creduto nella medaglia.” afferma ancora.

E a differenza del 1500 dove le gambe si sono paralizzate per la tensione, qui Simona Quadarella ha continuato a spingere, facendosi beffare, se così si può dire, solo da due aliene e dal miracolo di Paige Madden

Perché queste nuotatrici, nonostante le previsioni, a volte scontate in uno sport dove il cronometro è sovrano, vogliono lottare. Perchè loro sul ring non ci sono solo salite, in vasca non si sono solo buttate, loro hanno combattuto per una medaglia fino alla fine. Fino a mancarla di un centesimo in un caso, e con un Record Italiano nell’altro. 8:14.55 è il numero che Simona Quadarella ha portato in Casa Italia da Parigi. L’italiana più veloce di sempre negli 800, più veloce anche di se stessa.

Contenta di aver reagito, di non aver mollato e consapevole di dover affrontare le prossime gare con la stessa mentalità, ora Simona appare fiduciosa. Se fino a qualche giorno fa quella medaglia di legno l’aveva fatta anche dubitare di ciò che potrebbe riservarci nel futuro, questa non – medaglia, dello stesso materiale, assume invece un colore vivace, che nasconde in sé un futuro ancora più roseo. 

Simona è nella miglior versione di sè, nonostante, a causa, e grazie anche alle sue due medaglie di legno. 

Argento e Bronzo, son mille culure

Se arrivi quarto devi essere triste, non c’è altra possibilità. Se arrivi quinto sei già troppo lontano, non hai neanche il diritto di essere frustrato,perchè il podio non l’hai nemmeno sfiorato. E se non ti qualifichi “nemmeno” in finale non puoi mica essere felice.

Eppure la storia delle Olimpiadi è piena di storie con sfumature diverse. 

Il campione olimpico dei 50 stile libero a Londra 2012 Florent Manaudou, dopo essere arrivato secondo all’Olimpiade seguente di Rio 2016, ha attraversato una così forte delusione che lo ha portato a lasciare il nuoto. In quel momento per lui quella medaglia d’argento era una medaglia nera. 

Dopo qualche anno passato tra le file della pallamano però ritorna. Si butta in acqua negli stessi 50 stile che lo avevano eretto sul tetto dell’Olimpo, e a Tokyo nel 2021 si guadagna di nuovo quell’argento. Lo stesso che aveva ripudiato cinque anni prima. Quello stesso argento a Tokyo non era più nero, aveva iniziato a riprendere colore.

Non solo, quest’anno, nella sua Olimpiade in casa a Parigi, la medaglia è stata del metallo meno prezioso, il bronzo. Eppure Florent ha mostrato un sorriso forse ancora più grande di quello visto nel 2012. Stiamo parlando dello stesso evento, ma per Manaudou questa medaglia di bronzo è molto più colorata di quella d’argento di Rio. Il colosso francese, davanti alla sua gente si commuove mentre sale sul gradino più basso del podio. E paradossalmente si rende conto che, forse, è proprio questo il gradino più alto valicato nella sua carriera.

Oro è mille culure

L’oro ha davvero mille colori. La medaglia più preziosa alle Olimpiadi è l’obiettivo più alto che un nuotatore possa conseguire. Forse è l’unico piazzamento che non dovrebbe riservare sorprese per quanto riguarda la reazione del campione interessato. Arrivi primo, sei felice. Eppure non è sempre così. 

Lo capiamo nel momento in cui Kristof Milak, pluricampione  e primatista mondiale, tocca il muro per primo, e dalle sue espressioni facciali non trapela nessuna emozione. Sia chiaro, l’ungherese non è mai stato uno che si lascia andare facilmente davanti a una telecamera, ma io ricordo bene ogni sua esultanza, dal record del mondo del 2019 agli Europei di Roma del 2022. Un ragazzo timido, a tratti arrogante, agonisticamente parlando, ma solare.

Alla viglia dei Mondiali di Fukuoka l’ungherese aveva detto di aver toccato il fondo, e di aver bisogno di una pausa. Il suo allenatore si aspettava un ritorno a pieno regime già a Settembre 2023, per prepararsi alle Olimpiadi, ma di Milak nessuna notizia. La Federazione Ungherese non è stata d’aiuto, anzi ha ribadito più volte come Milak dovesse il titolo olimpico e dovesse portare onore all’Ungheria. Un’affermazione che ha turbato anche Katinka Hosszu, che davanti a queste parole difendeva Kristof:

“Pensare che un campione olimpico debba qualcosa al proprio paese è oltraggioso e primitivo”.

Così, lasciato solo da chi doveva accompagnarlo, Milak inizia un silenzio stampa, e a Gennaio ricomincia, quasi obbligato, ad allenarsi per le Olimpiadi. Kristof fa il minimo indispensabile e neanche il suo allenatore crede nel miracolo. A Parigi però vince un argento nei 200 farfalla. Poi l’oro nei 100. 

 Milak è quasi assente nello scoprire il tempo nuotato sul tabellone. 49.90, neanche male per uno che durante gli ultimi due anni ha fatto la spola tra piscina e non si sa dove. Tocca il muro e non accenna neanche un sorriso.

Quasi come a dire “Visto? Ve l’avevo detto che ci sarei riuscito, voi mi avete costretto a farlo.” L’oro di Milak è un oro che non ha un bel colore, e che fa quasi più male di qualunque medaglia.

Non è tutto luccicante ciò che è oro. 

A volte invece, ci si aspetta che un nuotatore con 106 titoli internazionali in bacheca, già campione olimpico, 14 volte campione mondiale e 17 volte campione europeo, viva una medaglia d’oro come un’abitudine. Certo, è felice, esulta, chi di più, chi di meno. Ma non è sorpreso, non è come vincere quella medaglia per la prima volta.

 Sarah Sjostrom a Parigi ci ha dato un’altra dimostrazione di come una medaglia d’oro possa assumere colori diversi, anche in questo caso all’interno della stessa Olimpiade.

Soltanto ieri sera Sarah ha vinto la sua seconda medaglia olimpica nei 50 stile libero, questa volta, a differenza di Tokyo 2020, è del metallo più prezioso. Il suo primo oro olimpico nella gara più veloce, e la svedese è felice, esulta, vede mille colori.

Eppure questa esultanza è ancora diversa da quella vista al tocco finale dei 100 stile libero. Sarah Sjostrom, che aveva passato mesi a ribadire che non avrebbe nuotato i 100 alle Olimpiadi, come d’altronde durante tutto l’anno, per potersi concentrare sui 50, vince, ancora prima di questi ultimi, un titolo olimpico a distanza di otto anni. I colori di quest’oro sono sgargianti. Sarah non smette di sorridere, colpisce l’acqua, spalanca la bocca, e non la richiude più. Una campionessa olimpica che non riesce a credere di aver vinto: “Ma veramente?”

Sì, veramente. Perchè un oro, un argento, un bronzo, un legno o un posto olimpico, non hanno un colore univoco, quello che riflette la medaglia. Questi possono riflettere colori molteplici, caldi o freddi, vivaci o oscuri.

Perchè passano i momenti, cambia il corpo, cambia la testa, cambia il contesto che stiamo vivendo, cambiano gli obiettivi, cambiano le sensazioni, cambiano i soggetti. Per noi queste medaglie non hanno cambiato colore, una è d’argento e l’altra è di bronzo, una è d’oro e l’altra pure. Per i non addetti ai lavori, una medaglia di legno non è altro che una mancata medaglia. Eppure per Florent Manaudou, per Sarah Sjostrom, per Kristof Milak e per Simona Quadarella quei riconoscimenti hanno colori molto diversi, al di fuori di ogni nostra speculazione. 

Questi colori sono tutti perfettamente visibili, perchè appartengono allo spettro del visibile umano.

Questi colori sono visibili, e sono compresi infatti soltanto da un occhio umano.

 

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